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La Rivoluzione dei Business di Coda: Piccole Idee, Grandi Profitti

I Business di Coda: La Magia Nascosta Dietro le Nicchie

Immagina un mondo in cui non devi per forza vendere hamburger a milioni di persone per fare soldi. Un mondo in cui puoi guadagnare bene anche vendendo, che ne so, cappelli fatti a mano per pappagalli o corsi online su come parlare con le piante. Questo, amici miei, è il regno dei business di coda, un concetto che sembra uscito da un film di fantascienza ma che in realtà è una delle idee più rivoluzionarie dell’economia moderna. Oggi vi porto a spasso in questo universo parallelo, dove le nicchie regnano sovrane e i numeri piccoli possono diventare grandi successi. Preparate un caffè (o un succo, se siete tipi da vitamina C) e partiamo!

Che Diamine Sono i Business di Coda?

Per capire i business di coda, dobbiamo prima fare un salto nel passato, quando il mondo degli affari era dominato dai blockbuster. Pensa ai grandi magazzini pieni di CD dei Backstreet Boys o ai cinema che proiettavano Titanic per mesi. In quel mondo, il successo si misurava con la regola dell’80/20: il 20% dei prodotti (i più popolari) generava l’80% dei profitti. Tutto il resto? Roba da mercatino dell’usato.

Poi è arrivato un tizio di nome Chris Anderson, che nel 2004 ha scritto un articolo (e poi un libro) intitolato The Long Tail . Anderson ha detto: “Ehi, aspetta un attimo! Con internet, le regole stanno cambiando”. La sua idea era semplice ma geniale: grazie alla tecnologia digitale, non devi più puntare solo sui grandi successi. Puoi guadagnare anche vendendo piccole quantità di prodotti super specifici a un pubblico ristretto ma appassionato. Questa è la “Long Tail”: una curva che parte con i bestseller (la testa) e poi si allunga all’infinito con migliaia di prodotti di nicchia (la coda).

Facciamo un esempio pratico. Se vai in un negozio di dischi vecchio stile, trovi magari 50 titoli: i più venduti, quelli che piacciono a tutti. Ma su Spotify? Puoi ascoltare una band metal norvegese che ha 12 fan in tutto il mondo o un tizio che suona il theremin in cantina. La coda lunga è proprio questo: un mercato infinito di piccole opportunità.

Come Funzionano? La Ricetta della Coda

Ok, ma come si fa a trasformare questa teoria in un business vero? È più semplice di quanto sembri, ma ci vuole un po’ di astuzia. Ecco gli ingredienti principali:

  1. Digitalizzazione e Zero Costi di Magazzino
    Nei negozi fisici, lo spazio è limitato. Se vendi libri, non puoi tenere in negozio “Manuale per allevare lumache da corsa” perché occupa posto e probabilmente lo comprano in due all’anno. Ma online? Su Amazon o su un sito tuo, quel libro può stare lì per sempre, senza costi di affitto o polvere da spolverare. La digitalizzazione abbatte le barriere fisiche e ti permette di offrire un catalogo infinito.
  2. Motori di Ricerca e Algoritmi
    La coda lunga funziona solo se la gente trova quello che cerca. Ecco perché Google, Amazon e compagnia bella sono i migliori amici di questi business. Scrivi “calzini a tema unicorni” su un motore di ricerca e, voilà, trovi un negozio online che li vende. Gli algoritmi di raccomandazione (“Ti piace questo? Prova quest’altro!”) fanno il resto, spingendo i prodotti di nicchia sotto il naso dei clienti giusti.
  3. Passione e Community
    I clienti della coda lunga non sono tipi da “compro la prima cosa che vedo”. Sono fanatici, collezionisti, nerd di qualcosa. Se vendi action figure di film anni ’80, il tuo pubblico non vuole solo un pupazzetto: vuole sapere la storia del personaggio, il dietro le quinte del film, magari anche un podcast su come pulire la plastica ingiallita. Costruire una community intorno alla tua nicchia è la chiave per farli tornare.
  4. Scalabilità Piccola ma Potente
    Non devi vendere milioni di pezzi. Magari vendi 10 corsi di giardinaggio per cactus al mese, ma a 100 euro l’uno. O 50 stampe artistiche di gatti steampunk a 20 euro ciascuna. I numeri sono piccoli, ma i margini possono essere altissimi, perché stai parlando a un pubblico che non trova alternative altrove.

L’Evoluzione: Da eBay a OnlyFans

I business di coda non sono nati ieri. Pensate a eBay negli anni ’90: un posto dove potevi vendere quel vecchio Game Boy rotto o una collezione di francobolli della nonna. Era già la “coda lunga” in azione! Ma col tempo, questi business si sono evoluti, cavalcando le onde della tecnologia e dei cambiamenti sociali.

  • Amazon e il Boom dell’E-commerce
    Amazon è il re della coda lunga. Non vende solo i bestseller di Stephen King, ma anche quel manuale di 300 pagine su come costruire un aquilone a forma di drago. Grazie alla logistica e al print-on-demand, oggi puoi persino pubblicare un libro che vende 5 copie all’anno e guadagnarci comunque.
  • Piattaforme Creative: Etsy e Patreon
    Etsy ha trasformato gli hobbisti in imprenditori: vendi collane fatte con gusci di noci di cocco? C’è un mercato per te! Patreon, invece, permette ad artisti, scrittori e musicisti di guadagnare dai fan più fedeli, anche se sono solo 50 persone sparse per il mondo.
  • Il Fenomeno OnlyFans
    Sì, anche OnlyFans è un business di coda! Creator di nicchia (non solo quelli che pensi tu, ma anche chef, personal trainer o esperti di tarocchi) trovano un pubblico ristretto ma disposto a pagare per contenuti esclusivi. È la coda lunga applicata al massimo: personalizzazione e connessione diretta.
  • AI e Automazione
    Oggi, con l’intelligenza artificiale, puoi creare prodotti di nicchia in modo ancora più veloce. Vuoi un e-book su “Come allenare il tuo criceto a fare yoga”? Un’AI può scriverlo in un’ora, e tu lo vendi a 10 euro a una manciata di appassionati. La tecnologia sta rendendo la coda sempre più lunga e accessibile.

Perché Sono Così Importanti?

Ora che abbiamo capito cosa sono e come funzionano, la domanda da un milione di dollari: perché i business di coda contano così tanto? Spoiler: perché stanno cambiando il mondo, un pezzettino alla volta.

  1. Democratizzazione del Business
    Non serve più essere una multinazionale per fare soldi. Con un laptop e una connessione internet, chiunque può avviare un’attività di nicchia. Sei un esperto di modellismo ferroviario? Puoi vendere guide, pezzi rari o video tutorial e vivere della tua passione. La coda lunga dà potere ai piccoli.
  2. Diversità e Scelta
    Senza la coda lunga, saremmo tutti condannati a mangiare solo pizza margherita e ascoltare solo pop da classifica. Invece, oggi puoi scoprire un podcast su come fare il sapone con le alghe o comprare una lampada a forma di medusa. È un’esplosione di creatività e varietà.
  3. Resilienza Economica
    I grandi blockbuster possono crollare (ricordi Blockbuster, il negozio di noleggio video?). I business di coda, invece, sono più resistenti: si basano su tanti piccoli flussi di reddito, non su un unico grande successo. Se un prodotto non vende, ce ne sono altri mille nella coda a tenere in piedi il tutto.
  4. Connessione Umana
    In un mondo sempre più impersonale, i business di coda riportano il contatto diretto. Chi compra un sapone artigianale da un venditore Etsy spesso riceve un biglietto scritto a mano. Chi segue un creator su Patreon si sente parte di qualcosa. È business, sì, ma con un’anima.

Sfide e Futuro della Long Tail

Non è tutto rose e fiori, però. Gestire un business di coda ha le sue sfide. La concorrenza è feroce: se vendi tazze a tema dinosauri, domani potrebbe spuntare qualcuno con tazze a tema triceratopi fluorescenti. E poi c’è il problema della visibilità: senza un buon SEO o una strategia di marketing, il tuo prodotto rischia di perdersi nella coda infinita.

Ma il futuro? È luminoso. Con la realtà virtuale, la stampa 3D e l’AI, i business di coda diventeranno ancora più personalizzati. Immagina di ordinare un paio di scarpe fatte su misura per i tuoi piedi, con un design ispirato al tuo film preferito, consegnate in 24 ore. O di entrare in un negozio virtuale dove ogni oggetto è creato apposta per te. La coda lunga non ha limiti, e sta solo iniziando a mostrare il suo potenziale.

Conclusione: La Coda È il Nuovo Re

I business di coda sono la prova che non devi essere un colosso per vincere. Sono il trionfo delle passioni strane, delle idee bizzarre e dei sogni piccoli ma concreti. In un mondo che sembra ossessionato dai numeri grandi, ci ricordano che anche i numeri piccoli possono fare la differenza. Quindi, la prossima volta che trovi un sito che vende penne a forma di carota o un corso su come cantare come un pirata, sorridi: stai guardando la coda lunga in azione. E chissà, magari il tuo prossimo business sarà proprio lì, in fondo alla curva, pronto a brillare.

Passivo sì, ma con stile: la strategia che ti fa guadagnare (senza finire sul divano di tuo cugino)

Passive Strategy vs Passive Behavior: Non è la stessa cosa, fidati!

Se ti dico “passivo”, magari ti immagini tuo cugino sul divano con una birra in mano, telecomando nell’altra, e zero voglia di muovere un muscolo. Ma in finanza personale, “passivo” può avere due significati completamente diversi: uno ti può portare a una vita di serenità economica, l’altro ti lascia con le tasche vuote e un’espressione da “ma come è successo?”. Oggi mettiamo a confronto passive strategy e passive behavior: sembrano simili, ma sono come il caffè espresso e l’acqua del rubinetto. Preparati a un viaggio tra ETF, pigrizia finanziaria e qualche esempio pratico per capire quale dei due fa per te (spoiler: uno è molto meglio).

Cos’è una Passive Strategy? Investire senza stress (ma con un po’ di testa)

La passive strategy è un po’ come il tuo robot aspirapolvere: lo accendi, lui fa il lavoro, e tu ti godi i risultati. È un approccio all’investimento che non cerca di battere il mercato o di prevedere se Tesla volerà o crollerà. Invece, punti a replicare un indice di mercato (tipo l’S&P 500 o il FTSE MIB) investendo in fondi indicizzati o ETF (Exchange Traded Funds). Tradotto: niente ore passate a scegliere azioni o a inseguire l’ultima criptovaluta di cui parla tuo zio a cena.

Esempio pratico: investi 5.000 euro in un ETF che segue l’S&P 500, l’indice delle 500 maggiori aziende americane. Non devi fare nulla: il fondo cresce (o scende) con il mercato. Negli ultimi decenni, l’S&P 500 ha reso in media il 7-10% annuo (dopo l’inflazione). Con un po’ di pazienza, quei 5.000 euro potrebbero diventare 13.000 in 20 anni. Non è magia, è il potere del compounding e di un approccio passivo ben pensato.

Ma attenzione: “passivo” non significa “zero cervello”. Per adottare una passive strategy serve un active behavior iniziale. Devi studiare un minimo, capire cosa sono gli ETF, scegliere strumenti affidabili (tipo Vanguard o iShares), e magari scoprire la differenza tra un MSCI World e un FTSE 100. Non è rocket science, ma richiede un po’ di curiosità e impegno all’inizio. È come imparare a usare il forno: una volta capito, cuoci la pizza perfetta senza fatica.

Il vantaggio? Costi bassi e stress minimo. Gli ETF hanno spese di“ gestione irrisorie (spesso sotto lo 0,1% annuo), a differenza dei fondi attivi dove un gestore in giacca e cravatta cerca (e spesso fallisce) di battere il mercato. È come scegliere un self-service invece di un ristorante stellato con conto stellare.

E il Passive Behavior? La pigrizia che ti costa un occhio

Ora passiamo al passive behavior, che è un po’ come lasciare la tua vita finanziaria in modalità “pilota automatico”… ma senza aver impostato la rotta. Qui non c’è strategia, solo inerzia: non pianifichi, non investi, non risparmi, e magari lasci i tuoi soldi a morire su un conto corrente che rende lo 0,01% (quando va bene). È il classico “ci penserò domani” che diventa “ops, sono passati 10 anni e ho ancora 500 euro in banca”.

Esempio pratico: Laura, 30 anni, guadagna 2.000 euro al mese. Non ha un budget, spende tutto in aperitivi e shopping online, e i suoi risparmi sono un sogno lontano. Non investe perché “non capisce la finanza” e “non ha abbastanza soldi”. Risultato? A 50 anni, Laura ha zero risparmi e zero investimenti. Se invece avesse messo 200 euro al mese in un ETF S&P 500 da quando aveva 30 anni, oggi avrebbe circa 100.000 euro (con un rendimento medio del 7%). Ma no, Laura ha scelto il passive behavior, e ora il suo piano pensione è “speriamo nella lotteria”.

Peggio ancora, il passive behavior può trasformarsi in una trappola costosa. Immagina di affidarti all’amico di un amico che lavora in banca: “Tranquillo, ci penso io!”. Lui ti piazza in un portafoglio di fondi attivi con costi di gestione del 2% annuo (o più), che magari rendono meno del mercato. Tu non controlli, non ti documenti, e dopo 20 anni scopri che hai pagato migliaia di euro in commissioni per un risultato mediocre. È come ordinare una pizza e ritrovarti con un cartone vuoto perché il fattorino se l’è mangiata per strada. Colpa tua? Non proprio. Colpa del tuo passive behavior? Assolutamente sì.

Le differenze chiave: strategia vs inerzia totale

Mettiamo i due contendenti sul ring. È un po’ come confrontare un atleta che si allena con metodo e un tizio che dorme tutto il giorno.

  1. Intenzione:
    • Passive Strategy: È una scelta consapevole. Studi un po’, decidi di investire in modo semplice e sistematico, e lasci che il mercato lavori per te.
    • Passive Behavior: Non c’è scelta, solo pigrizia. Non fai nulla o ti affidi a qualcuno senza sapere cosa sta succedendo.
  2. Risultati:
    • Passive Strategy: I tuoi soldi crescono nel tempo, grazie a una decisione iniziale ben ponderata.
    • Passive Behavior: I tuoi soldi stagnano o spariscono, mangiati dall’inflazione o da commissioni assurde.
  3. Sforzo:
    • Passive Strategy: Serve un active behavior iniziale per informarti e scegliere (tipo leggere un articolo come questo!), ma poi è quasi tutto automatico.
    • Passive Behavior: Zero sforzo, zero risultati. Non serve nemmeno aprire Google per cercare “cos’è un ETF”.
  4. Costi:
    • Passive Strategy: Spese bassissime, perché non paghi gestori attivi per fare previsioni spesso sbagliate.
    • Passive Behavior: Costi nascosti ovunque: opportunità perse o commissioni salate se ti affidi al “consulente” sbagliato.

Esempio pratico: Marco e Sara, entrambi 35enni, guadagnano 30.000 euro l’anno. Marco adotta una passive strategy: si documenta, sceglie un ETF MSCI World e investe 300 euro al mese. Sara, regina del passive behavior, si fida dell’amico bancario che le rifila un fondo attivo con costi del 2,5%. Dopo 30 anni, con un rendimento medio del 6%, Marco ha circa 300.000 euro. Sara? Ha 150.000 euro, ma 50.000 se ne sono andati in commissioni. Stesso stipendio, approcci opposti, portafogli diversissimi.

Perché la Passive Strategy vince (se la capisci)

La passive strategy ha un asso nella manica: il tempo. Non devi essere Warren Buffett o passare ore a studiare bilanci. Il mercato cresce nel lungo termine, e tu ci sali sopra. Certo, ci sono crisi (2008, ti dice niente?), ma i mercati si riprendono. È come piantare un albero: all’inizio è solo un rametto, ma dopo anni hai ombra e frutti. Però, per far funzionare questo piano, devi essere attivo all’inizio: informarti, scegliere strumenti solidi, evitare fregature.

Il passive behavior, invece, è un biglietto per il “vorrei ma non posso”. Non sfrutti il tempo, non sfrutti il compounding, e magari finisci pure con un portafoglio pieno di fondi costosi che non capisci. Uno studio di S&P Global dice che l’85% dei fondi attivi ha sottoperformato gli indici di mercato negli ultimi 15 anni. Perché rischiare, quando puoi copiare il mercato a costo quasi zero?

Obiezioni comuni (e come rispondere)

  • “Ma se il mercato crolla?”
    Con la passive strategy, i crolli sono normali. Aspetti e riparti. Con il passive behavior, non hai nemmeno un piano da far ripartire.
  • “Non ho abbastanza soldi.”
    Falso! Oggi puoi iniziare con 50 euro al mese su piattaforme come Trade Republic. Serve solo un po’ di active behavior per scoprirlo.
  • “E se scelgo il fondo sbagliato?”
    Informati un minimo: punta su indici ampi (S&P 500, MSCI World) e marchi noti (Vanguard, iShares). Evita il tizio in banca che ti vende il “fondo speciale”.

Considerazioni finali: Scegli il tuo passivo

La passive strategy è un “passivo” che lavora per te, ma richiede un pizzico di azione iniziale: studiare, scegliere, agire. Il passive behavior è il “passivo” che ti frega: nessuna fatica, nessun guadagno, e magari pure qualche perdita nascosta. Vuoi investire senza stress? Documentati un po’, apri un conto online, scegli un ETF semplice e lascia che il tempo faccia il resto. Vuoi affidarti all’amico dell’amico e sperare per il meglio? Preparati a un portafoglio più leggero e a qualche rimpianto.

“Non ti fidare, ragazzo mio”: lezioni di finanza dal bagno dei bambini

L’altro giorno, a una festa di compleanno di quelle caotiche – coriandoli ovunque, bambini urlanti e adulti che chiacchierano di nuvole per non perdere la testa – accompagno mio figlio al bagno. Sulla porta, eccolo: il Grillo Parlante di Pinocchio, con il suo sorriso saggio e una frase che mi colpisce come un pugno:

“Non ti fidare, ragazzo mio, di chi promette di farti ricco dalla mattina alla sera. Di solito, sono matti o imbroglioni!”

Bam. Una perla di saggezza appesa in un bagno per bambini. Dovrebbe stare incorniciata su ogni profilo Instagram di finanza, sui video YouTube degli “esperti” di trading e, soprattutto, tatuata sui portafogli di chi si fida troppo facilmente.

Perché, diciamolo, il trucco è sempre lo stesso. Cambiano i costumi, si aggiornano le scenografie, ma la promessa di arricchirsi in fretta resta una trappola vecchia come il mondo.

I Mangiafuoco 2.0
Un tempo erano i “cugini” con l’idea geniale: “Metti 10 milioni in un fondo segreto in Svizzera, fidati!”. Oggi sono influencer con l’anello d’oro e lo sfondo di Dubai, che in 47 secondi su TikTok ti spiegano come diventare milionario con il trading, il dropshipping o il “corso esclusivo per investire in start-up già vincenti”.

Non fraintendiamo: non tutti sono truffatori. Alcuni ci credono davvero. Ma rifletti: se un sistema è così infallibile, perché lo vendono a te, sconosciuto, per 997 euro con lo sconto “solo fino a mezzanotte”? Non sarebbe più logico tenerlo per sé?

Il fascino della scorciatoia
La ricchezza veloce è seducente. È la promessa di una stradina nascosta che evita la coda sulla via principale. “Perché faticare? Seguimi, ti porto io!”. Peccato che finisci nei rovi, graffiato e con il conto in rosso.

Desiderare risultati rapidi è umano. Ma la finanza personale, quella vera, è noiosa. Si basa su:

  • Risparmio costante.
  • Investimenti semplici e diversificati.
  • Tempo, pazienza e disciplina.

Non è sexy, ma funziona.

Pinocchio 2.0: cosa direi al mio io adolescente
Se potessi parlare al me stesso di vent’anni fa, gli ripeterei le parole del Grillo Parlante, aggiungendo:

“Studia le basi, evita le scorciatoie. Non devi diventare ricco domani. Devi costruire qualcosa che non crolli dopodomani.”

Il vero successo finanziario non è la Lamborghini affittata per un reel su Instagram. È la serenità di sapere che non dipendi da nessuno, che puoi dire “no” senza paura, che hai un margine di manovra nella vita.

Come riconoscere i fuffa-guru
Ecco i segnali per cui dovresti scappare a gambe levate:

  • Promettono guadagni garantiti? Via.
  • Mostrano solo successi, mai i rischi? Via.
  • Usano paroloni motivazionali senza sostanza? Via.
  • Ti vendono un corso prima di spiegarti di cosa si tratta? Scappa più veloce che puoi.

E allora, che fare?
La strada per una finanza solida è meno appariscente, ma infinitamente più efficace:

  1. Tieni traccia delle spese: scopri dove finiscono i tuoi soldi.
  2. Crea un fondo di emergenza: anche piccolo, è una rete di sicurezza.
  3. Investi con semplicità: scegli strumenti che capisci e diversifica.
  4. Ignora il rumore: il lungo termine batte sempre le mode passeggere.
  5. Studia sempre: fai domande, approfondisci, non smettere mai di imparare.

In conclusione
Quel giorno, mentre mio figlio correva via con un palloncino in mano, sono rimasto a fissare quella porta. Il Grillo Parlante dovrebbe essere il logo ufficiale dell’educazione finanziaria.

La prossima volta che qualcuno ti promette milioni in tre giorni con un “metodo infallibile”, ripensa a quella frase. Magari stampala e attaccala sullo specchio del bagno. Perché la finanza personale non si fa con le magie, ma con il buon senso. E il buon senso, a volte, lo trovi nei posti più inaspettati.

La Saggezza della Folla: Perché il Gruppo a Volte Sa Più di Te (e Come Usarla per i Tuoi Soldi)

La Saggezza della Folla: Perché il Gruppo a Volte Sa Più di Te (e Come Usarla per i Tuoi Soldi)

Immagina questa scena: sei a una fiera di paese, c’è un barattolo pieno di caramelle e un tizio con un cappello a cilindro ti sfida a indovinare quante ce ne sono dentro. Tu ci provi, spari un numero a caso – diciamo 237 – e ovviamente sbagli di brutto. Poi però succede una cosa strana: il tizio chiede a tutti i presenti di fare lo stesso, raccoglie i numeri e tira fuori una media. E, sorpresa delle sorprese, quella media è dannatamente vicina al numero reale di caramelle. Tipo, spaventosamente vicina. Benvenuto nel magico mondo della wisdom of the crowd, la saggezza della folla. Ma cosa c’entra questo con i tuoi soldi? Spoiler: un sacco.

Oggi ti porto a spasso in questo concetto affascinante, ti spiego come funziona, perché a volte è una manna dal cielo per le tue finanze personali e, attenzione, quando invece rischi di farti fregare seguendo il gregge. Preparati una tazza di caffè (o un bicchiere di vino, non giudico), perché stiamo per fare un viaggio di almeno 1500 parole tra psicologia, economia e un pizzico di sano buon senso.

Cos’è ‘sta Saggezza della Folla, Spiegata Facile

Partiamo dalle basi. La wisdom of the crowd è un’idea vecchia come il mondo, ma formalizzata nel 1907 da uno statistico inglese, Francis Galton. Questo signore, che probabilmente non era il tipo più simpatico alle feste, si ritrovò a una fiera di campagna (sì, proprio come nel nostro esempio delle caramelle). Lì c’era un concorso per indovinare il peso di un bue. Galton, curioso come un gatto, raccolse tutti i numeri dati dai partecipanti – contadini, macellai, bambini e chi più ne ha più ne metta – e fece la media. Risultato? La folla, nel suo insieme, aveva azzeccato il peso quasi al grammo, molto meglio di quanto avessero fatto i singoli “esperti”.

Il trucco sta nel fatto che, quando metti insieme tante opinioni diverse, gli errori individuali tendono ad annullarsi. Chi spara troppo alto bilancia chi spara troppo basso, e alla fine esce fuori una stima collettiva che è spesso più precisa di quella di un singolo genio. Bello, no? È come se la folla fosse un supercomputer vivente, capace di fare calcoli che tu, da solo nel tuo salotto, non riusciresti mai a tirare fuori.

La Folla e i Soldi: Un Amore Complicato

Ok, ma passiamo al sodo: come si applica questo ai tuoi risparmi, al tuo conto in banca o a quel gruzzoletto che tieni nascosto sotto il materasso (tranquillo, non lo dico a nessuno)? Nella finanza personale, la saggezza della folla si manifesta in un sacco di modi, alcuni geniali, altri un po’ rischiosi.

Primo esempio: i mercati finanziari. Hai presente la Borsa? Quel posto caotico dove la gente urla numeri e compra azioni come se fossero patatine al supermercato? Ecco, il prezzo di un’azione, in teoria, riflette la saggezza della folla. Milioni di investitori, analisti e trader, ognuno con le sue idee, previsioni e informazioni, “votano” comprando o vendendo. Il risultato è un prezzo che dovrebbe essere una stima collettiva del valore di quell’azienda. Se la folla ha ragione, quel prezzo è una guida affidabile per decidere se investire o no. È come chiedere a un miliardo di amici: “Ehi, questa azienda vale i miei soldi?” e fidarti della loro risposta media.

Ma attenzione, perché qui entra in gioco il primo “ma”. La folla non è sempre saggia. A volte è più un branco di pecore che corre verso il burrone. Pensa alla bolla dei tulipani nel 1600 o, più vicino a noi, al crollo delle criptovalute dopo il boom del 2021. In quei casi, la folla non era saggia, era isterica. Tutti compravano perché “lo facevano tutti”, e alla fine si sono ritrovati con un pugno di mosche (o di bulbi di tulipano, se preferisci). Quindi, regola numero uno: la saggezza della folla funziona solo se le persone pensano in modo indipendente. Se invece si copiano a vicenda come scolaretti durante un compito in classe, è un disastro annunciato.

Come Usare la Folla per Non Finire in Mutande

Ora che abbiamo capito il concetto, vediamo come sfruttarlo praticamente per gestire meglio i tuoi soldi. Perché sì, la folla può essere una tua alleata, basta sapere come ascoltarla senza perdere la testa.

  1. Le Recensioni Online: La Folla Come Consulente Gratis
    Stai pensando di aprire un conto con una nuova banca o di provare quell’app di investimento che promette di farti diventare milionario in tre clic? Prima di buttarti, dai un’occhiata a cosa dice la gente. Siti come Trustpilot o forum come Reddit sono miniere d’oro di saggezza collettiva. Se 500 persone dicono che quell’app è una truffa, forse è meglio starci alla larga. Certo, qualche recensione sarà esagerata o scritta da un tizio arrabbiato perché ha perso la password, ma nel complesso la media ti dà un quadro realistico. È la saggezza della folla applicata al tuo portafoglio.
  2. I Fondi Indicizzati: La Borsa per Pigri
    Hai mai sentito parlare di Warren Buffett, il vecchietto miliardario che sembra sapere sempre cosa fare con i soldi? Bene, anche lui è un fan della saggezza della folla, anche se in modo indiretto. Buffett ha sempre consigliato ai comuni mortali come noi di investire in fondi indicizzati, tipo quelli che seguono l’S&P 500. Perché? Perché questi fondi non cercano di battere il mercato (cosa che nemmeno i guru riescono a fare con costanza), ma si limitano a cavalcare la media del mercato stesso. È come dire: “Ok, folla, tu sai cosa stai facendo, io mi accodo”. E storicamente, questa strategia funziona: il mercato, nel lungo periodo, tende a crescere, e tu cresci con lui.
  3. Chiedi in Giro (Ma con Criterio)
    Non sto dicendo di basare le tue scelte finanziarie sul cugino che “ha un amico che ha fatto i milioni con le cripto”. Però, parlare con persone diverse – amici, colleghi, quel vicino che sembra sempre sapere tutto – può darti prospettive che non avevi considerato. Magari uno ti consiglia un’app per tenere traccia delle spese, un altro ti racconta come ha risparmiato per la casa. Mescola queste idee, filtrale con il tuo buonsenso, e voilà: hai la tua versione personalizzata della saggezza della folla.

Quando la Folla Ti Porta Fuori Strada

Ok, finora sembra tutto rose e fiori, ma non abbassare la guardia. La folla può essere un’amica fidata, ma anche una sirena che ti attira sugli scogli. Ecco i momenti in cui è meglio tapparsi le orecchie e pensare con la tua testa.

  • Le Mode Finanziarie
    Ti ricordi il boom dei NFT? Quei disegnini digitali venduti a milioni di dollari? La folla ci si è buttata a capofitto, convinta che fosse la nuova gallina dalle uova d’oro. Peccato che poi il mercato sia crollato, lasciando un sacco di gente con immagini di scimmie pixelate e il conto in rosso. Quando tutti parlano di un investimento “imperdibile”, fai un passo indietro e chiediti: “Ma questa cosa ha senso, o sto solo seguendo il carrozzone?”
  • Il Panico Collettivo
    Al contrario, quando i mercati crollano e la folla vende tutto in preda al terrore, non è detto che sia la mossa giusta. Pensa al 2008: chi ha venduto durante la crisi ha perso un sacco, mentre chi ha tenuto duro ha visto i suoi investimenti riprendersi. La saggezza della folla funziona solo se c’è razionalità, non se è dominata dalle emozioni.
  • Troppa Uniformità
    Se tutti nella folla leggono le stesse notizie, seguono gli stessi influencer o usano gli stessi dati, la diversità sparisce e con lei la saggezza. È come chiedere a 100 cloni di indovinare le caramelle nel barattolo: non funzionerà.

La Tua Saggezza Conta Ancora

Ecco il colpo di scena: per quanto la folla possa essere utile, alla fine i tuoi soldi sono, beh, tuoi. La wisdom of the crowd è uno strumento, non un oracolo. Usala per informarti, per avere una base solida, ma poi aggiungi il tuo tocco personale. Conosci i tuoi obiettivi? Vuoi risparmiare per una vacanza o per la pensione? Hai paura di rischiare o sei uno che ama l’adrenalina degli investimenti? La folla non sa queste cose, tu sì.

Pensa a te stesso come al regista di un film: la folla è la tua troupe, ti dà idee, suggerimenti, dati. Ma la sceneggiatura finale la scrivi tu. Magari decidi di investire in quel fondo indicizzato perché la media della folla dice che è una buona idea, ma lo fai solo dopo aver controllato che si adatti al tuo budget. O magari ascolti le recensioni su quell’app di risparmio, ma poi la provi tu stesso per vedere se ti piace davvero.

Conclusione: La Folla è un Amico, Non un Padrone

Torniamo al barattolo di caramelle. Se fossi stato da solo a indovinare, probabilmente avresti sbagliato. Ma con l’aiuto della folla, avresti avuto una chance di azzeccarci. La finanza personale funziona allo stesso modo: da solo puoi fare buoni colpi, ma ascoltare il brusio collettivo ti dà un vantaggio in più. Basta non dimenticare che la folla non è infallibile – a volte è geniale, a volte è solo un gruppo di persone che corrono in cerchio urlando.

Quindi, la prossima volta che devi prendere una decisione sui tuoi soldi, fai un respiro profondo, guarda cosa dice la folla, e poi aggiungi un pizzico della tua saggezza. Perché, in fondo, il mix tra la wisdom of the crowd e la wisdom of te stesso è la ricetta perfetta per non finire al verde. E magari, chissà, per comprarti quel barattolo di caramelle tutto per te.

I Ruggenti Anni ’20: Quando la Finanza Ballava il Charleston

Ciao ragazzi! immaginate di indossare un abito scintillante o un completo a doppio petto, un bicchiere di champagne in mano, mentre il sax di Louis Armstrong risuona in sottofondo. Benvenuti negli Anni Venti Ruggenti, un’epoca di eccessi, innovazione e… speculazione finanziaria. Se pensate che Bitcoin, NFT e Gamestop siano invenzioni moderne, preparatevi a ridimensionare il vostro timeline storico. Perché già un secolo fa, la gente comune scommetteva sui cavalli (o meglio, sulle azioni) con la stessa frenesia di un trader Reddit nel 2021.

Oggi facciamo un salto nel passato e torniamo ai mitici Ruggenti Anni ‘20, un’epoca di euforia economica, jazz scatenato e speculazioni finanziarie folli. Ma cosa possiamo imparare da quel decennio dorato (e poi disastroso) per gestire meglio i nostri soldi oggi?

Boom Economico e Follia Finanziaria

Dopo la Prima Guerra Mondiale, l’America esplode di energia: l’industria gira a mille, la gente ha più soldi in tasca e nuove invenzioni – come l’elettricità, l’automobile e la radio – cambiano la vita quotidiana.

🎙 La radio fa il botto → È il social media dell’epoca, e tutti vogliono una.
🚗 L’auto di Ford diventa mainstream → Adesso anche la classe media può permettersene una.
🛒 Il credito si sdogana → Per la prima volta, puoi comprare a rate. Dal frigorifero al phon, tutto è acquistabile a pagamento dilazionato.

E poi c’è la Borsa. Wall Street diventa una sorta di Las Vegas finanziaria: tutti comprano azioni sperando di fare il colpaccio. I prezzi salgono, la gente investe a debito, e sembra che il mercato non possa mai fermarsi. Spoiler: si fermerà eccome.

La Storia di Charlie Dawson: Quando il Sogno Diventa Incubo

New York, 1925. Charlie Dawson è un impiegato di banca di 32 anni con il pallino della finanza. Vive nel suo appartamento di Manhattan, guida una Ford fiammante e la sera porta la fidanzata a cena nei ristoranti più chic.

Tutti parlano di azioni. I suoi colleghi si arricchiscono, e lui non vuole restare indietro. Decide di investire tutto quello che ha (e anche quello che non ha, grazie a un prestito a margine) in azioni della Radio Corporation of America (RCA). La radio è il futuro, e il titolo continua a salire.

Ogni settimana il suo capitale raddoppia. “Sono un genio!” pensa. In pochi mesi ha fatto più soldi con la Borsa che in anni di stipendio. Spende senza pensieri: nuovo completo, cene di lusso, una radio nel salotto per stupire gli amici.

Ma nel 1929 inizia il panico. Le azioni ballano il tango del crollo, e quando il mercato implode, Charlie è nei guai. Il suo broker lo chiama: deve ripagare il debito. Ma ormai i suoi investimenti valgono meno di un biglietto del tram.

In poche settimane, perde tutto. La Ford? Ripresa dalla concessionaria. L’appartamento? Troppo caro, è costretto a trasferirsi. Le cene al Waldorf-Astoria? Solo un ricordo. Charlie ha imparato la lezione, ma a carissimo prezzo.

Lezioni di Finanza dai Ruggenti Anni ’20

La storia di Charlie è un classico. Ecco tre lezioni che possiamo portarci a casa da quell’epoca folle:

Diversifica, sempre → Se punti tutto su un solo investimento, rischi di farti molto male quando le cose girano male. Non mettere tutte le uova nello stesso paniere!
Occhio al debito → Comprare azioni a credito nel ‘29 è stato come giocare d’azzardo col mutuo della casa. Oggi vale lo stesso per le carte di credito o i prestiti facili.
Studia prima di investire → Molti, come Charlie, non sapevano nemmeno come funzionasse la Borsa. Se vuoi giocare in finanza, devi conoscere le regole.

Dal Boom al Crack: Quando la Musica si Ferma

Nel 1929 il castello di carte crolla: il mercato va a picco, le banche falliscono, e la Grande Depressione manda in rovina milioni di persone. Morale della favola? Nessuna crescita è infinita, e bisogna sempre prepararsi per i periodi difficili.

Conclusione: Il Futuro Sarà di Nuovo “Ruggente”?

Gli anni ‘20 ci insegnano che l’entusiasmo finanziario può essere una lama a doppio taglio. È bello cavalcare l’onda, ma senza esagerare. Il segreto? Mente lucida, diversificazione e occhio al rischio.

E chissà, magari anche questo decennio diventerà un nuovo “Ruggente”. Speriamo solo senza un altro ‘29. 😅

Vi è piaciuto il viaggio nel passato? Avete esperienze di investimenti azzardati o lezioni finanziarie imparate sulla vostra pelle? E come diceva Louis Armstrong: “What a wonderful world”, sì… ma sempre con un occhio al portafoglio.

9 Miti sull’Equity Risk Premium: Sfatiamoli con un Sorriso e un Po’ di Buon Senso Finanziario

Se c’è una cosa che ho imparato nella vita, è che i soldi non crescono sugli alberi – e se lo facessero, probabilmente ci sarebbe un rischio nascosto tipo “attenti alle api”. Ecco perché oggi voglio parlarti dell’Equity Risk Premium (ERP), quel concetto finanziario che sembra uscito da un film di fantascienza ma che, in realtà, è il cuore pulsante di ogni decisione di investimento. In parole povere, l’ERP è il “bonus” che ti aspetti di guadagnare investendo in azioni invece di parcheggiare i tuoi soldi in qualcosa di noioso e sicuro come i titoli di Stato. È il premio per aver avuto il coraggio di salire sulle montagne russe del mercato azionario invece di restare seduto sulla panchina dei Bot.

Ma attenzione: intorno a questo concetto girano un sacco di miti, leggende metropolitane che farebbero impallidire persino il mostro di Loch Ness. Oggi ne sfateremo 9, uno per uno, con un tono leggero ma senza perdere di vista i fatti. Preparati a ridere, riflettere e magari prendere appunti per il tuo prossimo aperitivo con gli amici appassionati di finanza. Pronti? Via!


Mito 1: L’ERP è costante nel tempo – “Tanto è sempre uguale, no?”

Immagina l’ERP come il meteo: un giorno c’è il sole, il giorno dopo ti arriva un temporale in faccia. Pensare che sia costante è come credere che il tuo umore sia sempre lo stesso (spoiler: non lo è, soprattutto il lunedì mattina). La verità è che l’ERP cambia in base a un sacco di cose: quanto gli investitori hanno paura di perdere tutto, i tassi di interesse che ballano su e giù, e le condizioni economiche generali che sembrano un tango imprevedibile. Se nel 2008, durante la crisi finanziaria, l’ERP fosse stato uguale a quello di un tranquillo 2015, beh, avremmo tutti investito in Lehman Brothers cantando “Hakuna Matata”. Non funziona così: è un animale selvatico, non un gatto domestico.


Mito 2: “Guardo i rendimenti passati e prevedo l’ERP futuro” – La sfera di cristallo dei poveri

Se c’è una frase che dovrebbe essere incisa su ogni manuale di finanza, è questa: “I rendimenti passati non garantiscono risultati futuri”. Eppure, c’è chi pensa che basti guardare lo specchietto retrovisore per capire dove andrà l’ERP. È un po’ come dire: “Ho mangiato pizza ieri e mi è piaciuta, quindi domani vincerò alla lotteria”. I mercati cambiano, le crisi arrivano a sorpresa (ciao, Covid!), e quello che è successo negli ultimi 10 anni potrebbe non avere nulla a che fare con i prossimi 10. Prevedere l’ERP basandosi solo sulla storia è come cercare di indovinare il finale di un film dopo aver visto solo i trailer: magari ci prendi, ma probabilmente no.


Mito 3: “ERP alto = guadagni futuri assicurati” – Non proprio, caro mio

Ecco un altro mito che sembra logico ma non lo è. Un ERP alto significa che gli investitori si aspettano un bel gruzzolo in più rispetto ai titoli sicuri, giusto? Certo, ma non è una promessa di guadagni futuri. Spesso, un ERP elevato è solo il mercato che urla: “Attenzione, qui c’è rischio a palate!”. È come quando vai al ristorante e il cameriere ti avverte che il piatto è piccante: non è una garanzia che sarà delizioso, ma solo che potresti sudare parecchio. Un ERP alto può riflettere paura, incertezza o semplicemente un momento in cui tutti preferiscono tenere i soldi sotto il materasso. Non è un biglietto vincente per il jackpot.


Mito 4: “L’ERP è uguale ovunque” – Il mondo non è una grande Milano

Se pensi che l’ERP sia lo stesso a New York, Tokyo o in un paesino sperduto dell’Europa dell’Est, ho una brutta notizia per te: il mondo non è piatto, e nemmeno l’ERP lo è. Ogni mercato ha le sue regole, i suoi rischi e i suoi drammi. In un Paese stabile con un’economia solida, l’ERP potrebbe essere più basso perché gli investitori si sentono tranquilli. In un posto dove la politica cambia più spesso delle stagioni di Netflix, invece, il premio richiesto sarà più alto. È come il prezzo della pizza: a Napoli costa meno che a Zurigo, e c’è un motivo.


Mito 5: “Misurare l’ERP? Facile come bere un bicchier d’acqua” – Spoiler: non proprio

Se c’è una cosa che fa impazzire gli analisti finanziari, è cercare di misurare l’ERP. È come provare a catturare un’anguilla con le mani: scivoloso, complicato e spesso ti lascia con più domande che risposte. Ci sono mille modi per calcolarlo – modelli teorici, dati storici, sondaggi tra investitori – e ognuno ti dà un numero diverso. Aggiungici che dipende da assunzioni tipo “i tassi resteranno così” o “il mercato non impazzirà”, e capisci perché anche i guru della finanza a volte alzano le spalle e dicono: “Boh, più o meno sarà questo”. Facile? Macché.


Mito 6: “L’ERP è solo rischio di mercato” – Non proprio una foto completa

Ok, l’ERP è il premio per il rischio, ma non è solo una questione di “il mercato va su o giù”. Dentro quel numeretto ci sono un sacco di altri ingredienti: il rischio che non riesci a vendere le tue azioni quando vuoi (liquidità), il rischio che l’azienda in cui hai investito faccia un flop clamoroso (rischio specifico), e magari anche un pizzico di “oddio, e se scoppia una guerra?”. Pensare che l’ERP sia solo una misura del rischio di mercato è come dire che una torta è fatta solo di farina: dimentichi zucchero, uova e quel tocco di magia che la rende speciale.


Mito 7: “L’ERP non serve a chi investe sul lungo termine” – Errore da principianti

“Ma io investo per 20 anni, che me ne importa dell’ERP?” Sbagliato, amico mio. Anche se hai la pazienza di un monaco tibetano e il tuo orizzonte è più lungo di una maratona, l’ERP ti riguarda eccome. È lui che ti dice se il gioco vale la candela, se il rischio di buttarti sulle azioni ti ripagherà rispetto a un tranquillo titolo di Stato. Senza capire l’ERP, è come navigare senza bussola: magari arrivi da qualche parte, ma non sai se è dove volevi andare. Lungo termine o no, ignorarlo è un autogol.


Mito 8: “L’ERP non c’entra con l’economia” – Ma per favore!

C’è chi pensa che l’ERP viva in una bolla, scollegato dal mondo reale. Niente di più falso. Le aspettative sull’economia – crescita, inflazione, disoccupazione – sono come il vento che spinge la barca dell’ERP. Se tutti pensano che domani sarà un boom economico, l’ERP potrebbe scendere perché il rischio percepito è più basso. Se invece si prevede una tempesta (ciao, recessione!), gli investitori chiederanno un premio più alto per salire a bordo. È un termometro del sentiment economico, non un numero buttato lì a caso.


Mito 9: “L’ERP è oggettivo, no?” – Più soggettivo di un giudizio su Sanremo

Infine, il mito dei miti: l’ERP sarebbe una misura scientifica, precisa, scolpita nella pietra. E invece no, è più un’opinione collettiva che un fatto assoluto. Dipende da come gli investitori vedono il mondo, da quanto sono ottimisti o pessimisti, da cosa si aspettano dal futuro. È un po’ come chiedere a 100 persone se il caffè è meglio amaro o zuccherato: avrai 100 risposte diverse, e tutte avranno un fondo di verità. L’ERP è il risultato di percezioni, paure e speranze, non di una formula magica.


Conclusione: L’ERP è un Mistero, ma Non Devi Temerlo

Eccoci qua, abbiamo smontato 9 miti sull’Equity Risk Premium con un po’ di ironia e qualche metafora culinaria (perché, ammettiamolo, tutto è più chiaro con la pizza). La verità è che l’ERP è un concetto complesso, sfuggente, ma fondamentale per chiunque voglia investire con un minimo di consapevolezza. Non è una scienza esatta, non è prevedibile al 100%, e di sicuro non è uguale per tutti. Ma proprio per questo è affascinante: ti costringe a pensare, a dubitare, a informarti.

Quindi, la prossima volta che qualcuno ti dirà “Investi in azioni, tanto l’ERP è sempre lo stesso”, sorridi, offrigli un caffè e spiegagli che il mondo della finanza è un po’ più complicato – e molto più divertente – di così. E se non ti crede, beh, lascialo con i suoi titoli di Stato: tu hai le montagne russe, e il panorama da lassù è tutta un’altra storia.

Mental Accounting: Come il Nostro Cervello Gestisce i Soldi (ma Non Sempre Bene)

Ciao a tutti, amici del blog! Oggi voglio parlarvi di una cosa che facciamo tutti, spesso senza accorgercene: il Mental Accounting. Sembra una di quelle espressioni che solo un economista potrebbe amare, ma in realtà riguarda proprio come spendiamo, risparmiamo e pensiamo ai nostri soldi.

Cos’è il Mental Accounting?

Cominciamo dalle basi. Il Mental Accounting è un concetto introdotto da Richard Thaler, un economista comportamentale che ha dimostrato come noi umani tendiamo a dividere il nostro denaro in ‘contenitori’ mentali distinti, influenzando poi come lo usiamo. Immagina di avere una scatola per le spese quotidiane, una per le vacanze, una per i regali di Natale… e via discorrendo.

Ma perché lo facciamo? Beh, per sentirci più in controllo, per dare un senso ai nostri soldi e, diciamocelo, per giustificare certe spese che altrimenti ci sembrerebbero eccessive.

Esempi Pratici di Mental Accounting

Facciamo un po’ di esempi pratici, così capiamo meglio:

  1. Il Bonus Mensile: Hai ricevuto un bonus di 1000 euro al lavoro. Per molti, quei soldi sembrano ‘extra’, quindi vengono spesso spesi in cose che normalmente non si comprerebbero. Se invece fosse stato parte del salario normale? Probabilmente avresti risparmiato la maggior parte.
  2. Il Denaro Trovato: Hai trovato 20 euro per strada. Potresti pensare, “Non sono miei, quindi posso spenderli senza colpa!” Questo è il Mental Accounting all’opera, dove il denaro viene visto come ‘meno reale’ se non proviene dal nostro conto principale.
  3. Le Spese di Vacanza: Quando si va in vacanza, spesso si crea un budget separato. Se spendi di più, non sembra così grave perché è ‘denaro da vacanza’, giusto? Ma alla fine, sono pur sempre soldi tuoi!
  4. Il Contante vs. Carta di Credito: Spesso spendiamo di più quando usiamo la carta di credito perché il pagamento sembra meno ‘reale’. Quando usiamo contante, invece, sentiamo più direttamente l’uscita dei soldi dal nostro portafoglio.
  5. Il Lotto o il Gioco d’Azzardo: Se vinci una piccola somma al gioco, potresti essere incline a spendere quei soldi in modo più frivolo, considerandoli una sorta di ‘bonus’ extra, non parte del tuo budget regolare.

Perché il Mental Accounting Può Essere un Problema?

Ora, qui viene il bello (o il brutto, dipende dai punti di vista). Il Mental Accounting può portare a decisioni finanziarie subottimali. Ecco come:

  • Sottostimare i Costi: Se metti i soldi in ‘contenitori’ separati, potresti non vedere il quadro completo delle tue spese. Quella vacanza potrebbe apparire meno costosa se non consideri anche il costo degli spostamenti, del cibo, ecc.
  • Sovrastima dei Risparmi: Potresti pensare di risparmiare semplicemente perché hai messo da parte dei soldi per un obiettivo specifico, ignorando altre spese impreviste che potrebbero erodere quei risparmi.
  • Perdita di Opportunità: Se tieni soldi in conti separati per scopi diversi, potresti perdere opportunità di investimento. Magari hai 5000 euro per una macchina nuova, ma non li unisci a un fondo investimenti perché ‘sono per la macchina’.
  • Effetto Sunk Cost: Potresti continuare a spendere soldi in un progetto o investimento solo perché hai già investito molto in esso, invece di valutare se vale ancora la pena proseguire.

Come Usare il Mental Accounting a Nostro Vantaggio?

Non tutto è perduto, però! Con un po’ di consapevolezza, possiamo rigirare questo concetto a nostro favore:

  • Strutturare i Risparmi: Utilizza il Mental Accounting per creare risparmi mirati. Vuoi comprare una casa? Crea un ‘contenitore mentale’ per quel sogno, ma fai in modo che sia flessibile e parte di un più ampio piano finanziario.
  • Spese Consapevoli: Quando spendi, chiediti da quale ‘contenitore’ stai prendendo i soldi. Questo può aiutarti a fare scelte più ponderate e meno impulsive.
  • Rivedere i Contenitori: Non avere paura di rimescolare i tuoi ‘contenitori’ mentali. Se hai risparmiato abbastanza per una vacanza ma si presenta un’opportunità di investimento vantaggiosa, forse è il caso di fare una redistribuzione.
  • Budget Mensile: Crea un budget mensile dove ogni voce di spesa è trasparente e visibile. Questo ti permette di vedere come spendi in totale, non solo per categorie separate.
  • Automatizzare i Risparmi: Imposta trasferimenti automatici verso conti di risparmio specifici. Questo sfrutta il Mental Accounting in modo positivo, rendendo il risparmio una parte integrante della tua routine finanziaria.

Psicologia e Finanza: Un Matrimonio di Successo?

Alla fine della giornata, capiamo che la finanza personale non è solo una questione di numeri, ma anche di psicologia. Il Mental Accounting ci mostra come il nostro cervello può giocarci dei tiri mancini, ma anche come possiamo usarne la logica a nostro vantaggio.

Uno studio interessante di Kahneman e Tversky, due giganti della teoria delle decisioni, parla di ‘framing’ (corniciamento), che è strettamente legato al Mental Accounting. L’idea è che la stessa decisione finanziaria può sembrare diversa a seconda di come viene presentata. Ad esempio, se ti dicono che un investimento ha una probabilità dell’80% di successo, suona meglio che dire che ha una probabilità del 20% di fallimento, anche se le due affermazioni sono identiche.

Schema Riassuntivo: Mental Accounting

Cos’è il Mental Accounting?

  • Definizione: Tendiamo a dividere mentalmente il nostro denaro in “contenitori” distinti per scopi specifici.
  • Esempio: Budget separati per spese quotidiane, vacanze, risparmi, ecc.

Esempi Pratici

  1. Bonus Mensile: Soldi extra spesso spesi più liberamente.
  2. Denaro Trovato: Visto come “meno reale”, quindi usato senza sensi di colpa.
  3. Spese di Vacanza: Budget separati per viaggi che rendono meno evidente il costo totale.
  4. Contante vs. Carta di Credito: La carta di credito porta a spendere di più perché il pagamento sembra meno tangibile.

Problemi del Mental Accounting

  • Sottostima dei Costi: Non avere una visione complessiva delle spese.
  • Sovrastima dei Risparmi: Ignorare costi imprevisti che riducono i risparmi.
  • Perdita di Opportunità: Tenere i soldi bloccati in “contenitori” rigidi.
  • Effetto Sunk Cost: Continuare a investire su qualcosa solo perché si è già speso molto.

Come Usarlo a Tuo Vantaggio

  1. Strutturare i Risparmi: Crea “contenitori” flessibili per obiettivi specifici.
  2. Spese Consapevoli: Chiediti da dove proviene il denaro prima di spendere.
  3. Rivedere i Contenitori: Ridistribuisci i soldi quando necessario (es. per opportunità di investimento).
  4. Automatizzare i Risparmi: Usa trasferimenti automatici per obiettivi specifici.

Psicologia e Finanza

  • Framing: Come la presentazione di una scelta influenza la nostra percezione.
    Esempio: “80% di successo” suona meglio di “20% di fallimento.”

Conclusione: La Finanza è Anche Psicologia

Quindi, la prossima volta che decidi di spendere o risparmiare, fai un piccolo check mentale: “Da quale scatola sto prendendo questi soldi? E perché?” Potresti scoprire che non solo gestisci meglio i tuoi soldi, ma ne capisci anche meglio le dinamiche.

Ecco, spero che questo viaggio nel Mental Accounting vi sia stato utile e forse anche un po’ illuminante. La finanza può essere divertente quando la guardiamo con un occhio critico e un po’ di umorismo. Continuate a seguirci per altri articoli che renderanno la gestione del vostro denaro non solo più intelligente, ma anche più allegra!

Manuale dell’investitore riluttante: prima risparmia, poi ne riparliamo

Ho deciso di battezzare la home page del mio blog “Un Blog di Risparmio Personale” per due motivi molto semplici.

Perché proprio “risparmio personale”?

Primo, “Un blog di finanza personale” era già preso – no, scherzo! In realtà, il nome mi serve come promemoria per me stesso: la parola magica “RISPARMIO”. Per anni ho snobbato la sua potenza, ma ora, grazie anche a Martina (la mia paziente compagna), ho finalmente aperto gli occhi sulla sua importanza. Non che sia diventato un guru del risparmio alla Mr. RIP o un monaco della frugalità come Jacob Lund Fisker, eh, sia chiaro! Però oggi voglio condividere con voi, in questo articoletto e sul mio blog, il mio personalissimo “manuale dell’investitore”, frutto delle mie esperienze e delle influenze che mi stanno guidando.

Regola numero uno: risparmia prima di investire

Ve lo dico con il cuore in mano e un po’ di lividi in testa: prima di buttarti negli investimenti, RISPARMIA. Risparmia come se non ci fosse un domani e costruisciti un fondo di emergenza. 3 mesi, 6 mesi, 12 mesi, fate voi, ma mettete da parte quei benedetti soldi!

Io l’ho letto mille volte, ma niente, non ci sono mai arrivato preparato. E indovinate un po’? Ci ho sbattuto il muso più volte. Dover vendere in perdita o disinvestire perché ti servono i soldi è un colpo al cuore, oltre che una bella lezione di umiltà.

Certo, tra i grandi investitori c’è chi ride di questa strategia: “Fondo di emergenza? Ma per favore!”. E va bene, rispetto per loro, ma quelli magari hanno case di proprietà a rendita, uno zio milionario o un paracadute finanziario che io – e forse anche tu – non abbiamo. Quindi, per noi comuni mortali che non vogliamo dipendere da nessuno, il mio consiglio spassionato è: apri un conto deposito, magari un ETF monetario, e inizia a versarci qualcosa. Anche poco all’inizio, giusto per toglierti lo sfizio di investire, e poi via con bonifici automatici periodici.

Le cicatrici del backtest

Questa è la mia strategia, nata dopo aver dovuto disinvestire più volte negli anni. Credimi, ci sono passato: leggi un libro, ascolti un podcast e ti senti subito Gordon Gekko pronto a conquistare Wall Street. Spoiler: non lo sei.

Sì, lo so, risparmiare è una rottura. È pesante, ti frustra, sembra di vivere da eremita. Ma, fidati di me, metti da parte quei maledetti soldi. È un consiglio da amico, giuro. Solo dopo aver costruito questo cuscinetto di sicurezza puoi iniziare a investire sul serio.

E qui arriva il mio secondo errore epico: sono andato a spulciare i portafogli di gente che ne sa molto piu di me e magari o sciuramente ha milioni investiti , facendo backtest su backtest per trovare quel microscopico aggiustamento che mi desse lo 0,01% di profitto in più o lo 0,002% di volatilità in meno.

Altro consiglio da amico: evita di buttarti a capofitto, o almeno agisci con consapevolezza! La chiave di tutto è risparmiare e investire con criterio. Poi, come secondo step, punta a far crescere le tue entrate, il tuo income, come direbbe il mitico Nick Maggiulli. E ora vai, conquista il mondo finanziario…

Crea un circolo virtuoso

E questa capacità cresce se riesci ad aumentare il tuo stipendio, creando un circolo virtuoso di risparmio ancora più potente.

In questo approccio, maestri come Mr. Money Mustache, Jacob Lund Fisker e il nostro Giorgio nazionale sono le mie bussole. Leggete il blog di Nicola Protasoni uno dei migliori blog sull’argomento.

Resistere al consumismo: la vera sfida

Quindi, ascolta podcast come The Bull, segui Giorgio, leggi Jacob e impara dai fenomeni del risparmio. Resistere al consumismo è una battaglia quotidiana: la pubblicità ti bombarda, il vicino sfoggia l’auto nuova, il collega l’orologio figo. Ogni giorno ti svegli e combatti contro le rate, il debito, la voglia di spendere. E quando sei in crisi, accendi un podcast, leggi un blog tipo Retire in Progress, sfoglia un libro che ti rimetta in carreggiata.

L’80% delle cose che desideri è inutile e ti incatena. Il debito? È il nemico numero uno del risparmio. E se ci aggiungi gli interessi, eccoti la ricetta per la “tempesta perfetta”: lavori fino alla morte (se ti va bene) o lasci pure debiti in eredità.

Il mio mantra

Il mio mantra è semplice: evita debiti inutili, non sprecare soldi, risparmia il più possibile e fatti pagare quello che vali.

Spero che questo possa aiutare qualcuno là fuori, magari quando sta per cedere, quando sta per dilapidare 10.000 euro sudati o quando si sente a terra. Non sei solo: se tieni la barra dritta, un giorno riderai ripensando a tutto questo.

Parola di uno che sta nella tua stessa barca!

Inflazione, Panda e Caffè: diario di un italiano con la Lira !!

Sveglia alle 7:00, il gallo canta ancora nel cortile della casa di campagna dove vivo, perché sì, nel 2025 con la lira non mi sono potuto permettere un monolocale a Roma. Mi alzo, infilo le pantofole e accendo la macchinetta del caffè. Sul tavolo c’è un mazzetto di banconote sgualcite: 10.000 lire, 5.000 lire, qualche mille lire con l’effigie di Montessori che mi guarda come a dire “Spendimi con saggezza”. Il caffè costa 2.000 lire al bar sotto casa, ma lo preparo io: con l’inflazione che galoppa al 6% annuo, ogni lira conta.

Esco per andare al lavoro, un impiego da impiegato statale che mi frutta 6 milioni di lire al mese. Non male, diresti, ma poi ti ricordi che una pagnotta ne costa 5.000 e un litro di benzina 4.000. La mia vecchia Fiat Panda del ‘98 è ancora viva, un miracolo di ingegneria e preghiere, perché comprarmene una nuova con questi tassi d’interesse sarebbe fantascienza. I mutui? Roba da matti: il mio collega Marco ha firmato per una casa a 200 milioni di lire, e ora paga una rata da 2 milioni al mese con un tasso del 12%. “Tanto ho il posto fisso,” dice lui, ma ha lo sguardo di chi ha visto un fantasma.

Cammino verso l’ufficio e passo davanti a una boutique di moda. Il cartello dice “Made in Italy – 100% esportabile!”. È vero, la lira svalutata fa felici gli stranieri: un turista americano entra e con 100 dollari si porta via una borsa di pelle che a me costerebbe mezzo stipendio. Io, al massimo, mi compro una cintura tarocca al mercato per 20.000 lire. Il “Made in Italy” è un sogno per gli altri, mentre noi qui lottiamo con il costo del grano importato: una pizza margherita al ristorante? 30.000 lire, e ringrazia che il pomodoro è nostrano.

A pranzo, apro il portafoglio e conto: 50.000 lire per una settimana di spesa. Mi arrangio con pasta, uova delle galline della zia e un po’ di verdura dell’orto. I risparmi? Li tengo in BOT a 6 mesi, perché il conto corrente dà un interesse ridicolo e l’inflazione mi mangia tutto. Mio nonno mi ha lasciato un lingottino d’oro, lo conservo in cantina insieme a una scatola di vecchie 500 lire d’argento: “Valgono più di quello che pensi,” mi ripeteva sempre.

Nel pomeriggio, in ufficio, si parla del debito pubblico. I giornali titolano “Nuovo record: 5.000 trilioni di lire!”. I BTP rendono il 9%, ma nessuno si fida più di tanto. Le tasse sono una stangata, perché lo Stato deve pagare gli interessi ai creditori stranieri che ci guardano con sospetto. La sanità zoppica: per una visita specialistica ho aspettato sei mesi, ma almeno il medico di base è gratis, anche se ha la fila come al mercato il sabato.

Torno a casa e accendo la TV. Pubblicità di viaggi: “Venezia, la meta più economica d’Europa!”. Gli stranieri ci invadono, e con ragione: con 1 dollaro si prendono 2.000 lire, e un piatto di spaghetti a Trastevere gli costa meno di un hot dog a New York. Io, invece, sogno Parigi, ma con il cambio a 2.000 lire per 1 euro, mi sa che mi fermo a Ostia. “Tanto c’è il mare,” mi dico, consolandomi con un gelato da 3.000 lire.

La sera, mi siedo sul divano con un bicchiere di vino da 10.000 lire la bottiglia (un lusso, lo so). Rifletto: vivere con la lira è un caos affascinante. Siamo orgogliosi, indipendenti, ma sempre con il fiato corto. La radio passa “Volare” di Modugno, e per un attimo mi sento ricco, anche se il portafoglio dice altro. Domani è un altro giorno, e con un po’ di astuzia e un pizzico di fortuna, magari metto da parte abbastanza lire per un weekend in montagna. O almeno per un altro caffè.

Warren Buffett passa il testimone a Greg Abel: la fine di un’era, l’inizio di un nuovo capitolo per Berkshire Hathaway

Greg Abel Nuovo CEO di Berkshire Hathaway: Cosa Cambia per l’Impero di Warren Buffett

Omaha, Nebraska, 3 maggio 2025 – Immaginate un ragazzo di 94 anni che, con un sorriso sornione e una Coca-Cola in mano, annuncia al mondo che è pronto a passare il timone della sua creatura, un colosso da oltre 1.000 miliardi di dollari, a un successore che ha scelto con cura. Quel ragazzo è Warren Buffett, l’Oracolo di Omaha, e oggi, durante l’assemblea annuale di Berkshire Hathaway, ha confermato che Greg Abel diventerà CEO alla fine del 2025. È la notizia che tutti aspettavano, ma che nessuno voleva davvero sentire. Buffett, dopotutto, non è solo un investitore: è una leggenda vivente, un simbolo di saggezza finanziaria e di un approccio al denaro che ha ispirato generazioni. Ma niente paura, perché la storia di Berkshire Hathaway è lungi dall’essere finita. Anzi, sembra pronta per un nuovo, entusiasmante capitolo. Preparatevi una tazza di caffè (o una Coca-Cola, in onore di Warren), perché stiamo per ripercorrere la straordinaria avventura di questa azienda, dal suo inizio come fabbrica di tessuti in declino fino al gigante diversificato di oggi, con un occhio al futuro sotto la guida di Abel.

Le origini: da un fallimento tessile a una macchina da soldi

La storia di Berkshire Hathaway inizia in un’epoca lontana, quando Warren Buffett non era ancora l’Oracolo, ma un giovane investitore con un fiuto per gli affari e una passione per i numeri. Era il 1965, e Berkshire Hathaway era una compagnia tessile del New England in difficoltà, con stabilimenti che arrancavano e un futuro incerto. Buffett, allora 35enne, acquistò una partecipazione significativa nell’azienda, vedendo un’opportunità nei suoi asset sottovalutati. Ma, come lui stesso ha ammesso in seguito, fu uno dei suoi peggiori investimenti. Il settore tessile era un disastro, e l’azienda perdeva soldi a palate.

Eppure, invece di arrendersi, Buffett trasformò quel fallimento in un trampolino di lancio. Decise di usare Berkshire come un veicolo per investire in altre aziende, sfruttando i flussi di cassa per acquisire partecipazioni in settori più promettenti. La svolta arrivò con l’acquisto di partecipazioni in compagnie assicurative, come National Indemnity nel 1967. Le assicurazioni, con i loro premi pagati in anticipo, fornivano a Buffett una fonte costante di “float” – denaro che poteva investire prima di dover pagare eventuali sinistri. Questo modello divenne il cuore pulsante di Berkshire, una macchina finanziaria che generava capitale per investimenti sempre più audaci.

Gli anni d’oro: costruire un impero con Coca-Cola e See’s Candies

Negli anni ’70 e ’80, Buffett affinò la sua filosofia di investimento, influenzato dal suo mentore Benjamin Graham e dal socio Charlie Munger, scomparso nel 2023 ma sempre presente nello spirito di Berkshire. La strategia era semplice ma geniale: comprare aziende straordinarie a prezzi ragionevoli e tenerle per sempre. Niente speculazioni, niente mode passeggere. Solo valore solido, come un buon paio di jeans che dura una vita.

Tra gli acquisti iconici di questo periodo ci sono See’s Candies, comprata nel 1972 per 25 milioni di dollari, e una partecipazione significativa in Coca-Cola, iniziata nel 1988. See’s Candies, una catena di cioccolaterie californiana, insegnò a Buffett il potere dei marchi amati e dei margini elevati. Ancora oggi, See’s genera profitti che fanno sorridere gli azionisti (e probabilmente anche i dentisti). Coca-Cola, invece, divenne uno dei pilastri del portafoglio di Berkshire, con un rendimento annuo del 63% rispetto al costo iniziale, grazie ai dividendi. Ogni volta che Buffett sorseggia una Coca-Cola, non è solo una preferenza personale: è un promemoria del suo genio finanziario.

In questo periodo, Berkshire si trasformò da una holding di partecipazioni azionarie a un conglomerato che possedeva aziende intere, come GEICO (acquistata interamente nel 1996 dopo anni di partecipazione) e Burlington Northern Santa Fe (BNSF), una delle più grandi ferrovie d’America, comprata nel 2010 per 44 miliardi di dollari. Buffett amava chiamare queste aziende le “quattro gemme” di Berkshire, insieme alla divisione assicurativa e a Berkshire Hathaway Energy, oggi guidata proprio da Greg Abel.

Il Buffett degli anni 2000: affrontare crisi e costruire leggende

Gli anni 2000 portarono nuove sfide, ma anche opportunità per consolidare la reputazione di Buffett come investitore senza pari. Durante la crisi finanziaria del 2008, mentre Wall Street tremava, Buffett fece mosse audaci, come investire 5 miliardi di dollari in Goldman Sachs con un accordo che gli garantì un rendimento del 10% annuo. Fu un colpo da maestro che non solo salvò Goldman, ma dimostrò al mondo che Berkshire era una roccia in tempi di tempesta.

Nel frattempo, il portafoglio di Berkshire continuava a crescere. Apple, entrata nel 2016, divenne la partecipazione più grande, anche se Buffett ha recentemente ridotto la quota, vendendo circa due terzi per accumulare una riserva di cassa record di 347 miliardi di dollari al 31 marzo 2025. Questa mossa ha fatto storcere il naso a qualcuno, ma Buffett ha sempre predicato la pazienza: il denaro in cassa è come un’arma carica, pronta a sparare quando si presenta l’occasione giusta.

Buffett non era solo un investitore, ma anche un narratore. Le sue lettere annuali agli azionisti, scritte con un mix di umorismo e saggezza, sono diventate una bibbia per gli investitori di tutto il mondo. Frasi come “Sii avido quando gli altri hanno paura, e pauroso quando gli altri sono avidi” sono entrate nel lessico finanziario. E ogni anno, l’assemblea di Berkshire a Omaha, soprannominata la “Woodstock del Capitalismo”, attirava decine di migliaia di persone desiderose di ascoltare l’Oracolo in persona.

L’elefante nella stanza: la successione

Con l’avanzare dell’età, la domanda su chi avrebbe preso il posto di Buffett è diventata inevitabile. Per anni, il mistero ha alimentato speculazioni. Sarebbe stato Ajit Jain, il mago delle assicurazioni? O forse uno dei gestori di portafoglio come Todd Combs o Ted Weschler? Nel 2021, Buffett mise fine alle chiacchiere, confermando che Greg Abel, allora vice presidente delle operazioni non assicurative, sarebbe stato il suo successore.

Abel, 62 anni, canadese, è un nome che potrebbe non far scattare subito un “wow” come quello di Buffett, ma il suo curriculum parla da solo. Entrato in Berkshire nel 2000 con l’acquisizione di MidAmerican Energy (oggi Berkshire Hathaway Energy), Abel ha trasformato la divisione energetica in un colosso che genera, trasmette e distribuisce energia in tutto il Nord America. Ha gestito acquisizioni complesse, come quella di PacifiCorp per 9,4 miliardi di dollari, e ha dimostrato una capacità rara: capire i numeri e le persone. Charlie Munger, che non era certo prodigo di complimenti, lo definì “un pensatore di prima classe”.

Ma perché Abel? Buffett lo ha scelto per la sua integrità, la sua competenza e la sua fedeltà alla cultura di Berkshire: autonomia per i manager, attenzione al lungo termine e un’ossessione per il valore. Abel non è un clone di Buffett – non ha la stessa verve da showman – ma è un pragmatico che sa prendere decisioni difficili. E, cosa fondamentale, ha l’approvazione del consiglio di amministrazione, che lo vede già come un “CEO in azione”.

3 maggio 2025: l’annuncio che cambia tutto

Oggi, durante l’assemblea annuale al CHI Health Center di Omaha, Buffett ha fatto l’annuncio che tutti temevano e attendevano. Con Abel seduto accanto a lui, ha dichiarato: “Penso che sia arrivato il momento in cui Greg dovrebbe diventare CEO alla fine dell’anno”. La sala è ammutolita per un istante, poi è esplosa in un applauso. Buffett, con il suo tipico umorismo, ha aggiunto: “Non ho intenzione di vendere nemmeno una azione di Berkshire. Le lascerò in eredità, ma per ora, credo che Greg farà un lavoro migliore del mio”.

La notizia ha colto di sorpresa anche Abel, che, secondo quanto riportato, non aveva ricevuto alcun preavviso. Ma la transizione non sarà un salto nel vuoto. Abel è già profondamente coinvolto nelle decisioni strategiche, dalla gestione del capitale all’analisi delle acquisizioni. Buffett ha anche annunciato che domani, 4 maggio, proporrà formalmente al consiglio di nominare Abel CEO a partire dal 1° gennaio 2026.

L’annuncio segna la fine di un’era durata 60 anni, in cui Buffett ha trasformato una piccola azienda tessile in un conglomerato che spazia dalle assicurazioni alle ferrovie, dall’energia ai dolciumi. Ma è anche un momento di riflessione sul futuro. Riuscirà Abel a mantenere la magia di Berkshire? E quali sfide lo attendono?

Il futuro con Greg Abel: cosa aspettarsi

Greg Abel eredita un’azienda in ottima salute, ma anche un compito titanico: succedere a una leggenda. Berkshire Hathaway oggi vale oltre 1.000 miliardi di dollari, con un portafoglio diversificato che include giganti come Apple, American Express e Coca-Cola, oltre a dozzine di aziende interamente possedute. La riserva di cassa di 347 miliardi di dollari offre flessibilità per grandi acquisizioni, ma il mercato è competitivo, e le opportunità di valore sono rare.

Una delle priorità di Abel sarà l’allocazione del capitale. Buffett ha sempre detto che il suo lavoro principale è decidere dove investire i profitti di Berkshire, e Abel sembra pronto a seguire questa strada. Ha già esperienza in grandi operazioni, come l’acquisizione di Dominion Energy nel 2020, e ha dimostrato di saper gestire aziende complesse in settori regolamentati. Tuttavia, alcuni investitori si chiedono se Abel abbia lo stesso fiuto di Buffett per gli investimenti azionari. Buffett stesso ha cercato di placare i dubbi, dicendo che Abel “capisce le aziende estremamente bene” e avrà l’ultima parola sugli investimenti.

Un’altra sfida sarà mantenere la cultura di Berkshire, che si basa su fiducia, autonomia e un approccio di lungo termine. Abel ha promesso di seguire la “filosofia di Buffett”, dando priorità a investimenti che guardano al futuro e a una gestione prudente dei rischi. Ma il mondo è cambiato: la tecnologia, le regolamentazioni e le aspettative degli investitori sono diverse rispetto a quando Buffett iniziò. Abel dovrà navigare in un panorama più complesso, con pressioni per adottare strategie più moderne, come l’investimento in startup tecnologiche o l’adozione di criteri ESG (ambientali, sociali e di governance).

Lezioni per il risparmiatore: cosa possiamo imparare da Buffett

Per chi si occupa di finanza personale, la storia di Buffett e Berkshire Hathaway è una miniera di lezioni preziose. Ecco alcune perle di saggezza che possiamo portare a casa:

  1. Pensa a lungo termine: Buffett non ha mai inseguito guadagni rapidi. Ha comprato aziende e azioni con l’intenzione di tenerle per decenni. Per il risparmiatore medio, questo significa investire in fondi indicizzati o azioni di qualità e resistere alla tentazione di vendere al primo ribasso.
  2. La pazienza è una virtù: La riserva di cassa di Berkshire è un esempio di come aspettare l’occasione giusta possa ripagare. Non abbiate fretta di investire tutto subito; tenete sempre un po’ di liquidità per cogliere opportunità.
  3. Conosci ciò che compri: Buffett investe solo in aziende che capisce. Per noi, questo significa studiare i fondi o le azioni in cui investiamo, evitando mode come le criptovalute se non ne comprendiamo il funzionamento.
  4. Sii frugale, ma generoso: Buffett vive in una casa modesta comprata nel 1958 e dona miliardi alla filantropia. Risparmiare non significa privarsi di tutto, ma trovare un equilibrio che permetta di vivere bene e aiutare gli altri.
  5. Impara dai maestri: Le lettere di Buffett sono disponibili gratuitamente sul sito di Berkshire. Leggerle è come frequentare un master in finanza, senza spendere un centesimo.

Un addio che non è un addio

Mentre il sole tramonta sull’era di Warren Buffett, è difficile non provare un mix di nostalgia e ammirazione. Buffett non è solo un investitore; è un insegnante, un filosofo e un esempio di come il successo possa essere costruito con integrità e intelligenza. La sua decisione di passare il testimone a Greg Abel non è una ritirata, ma un atto di fiducia: fiducia in Abel, fiducia in Berkshire e fiducia in un futuro che, come ha detto lui stesso, “sarà migliore sotto la gestione di Greg”.

Domani, quando questo articolo uscirà, il mondo finanziario starà ancora digerendo la notizia. Ma una cosa è certa: Berkshire Hathaway non è solo un’azienda, è un’eredità. E con Abel al timone, sembra pronta a continuare a sorprendere, proprio come ha fatto per 60 anni sotto la guida dell’Oracolo di Omaha.

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